Sulla
tipografia, in sintonia con il lavoro di Bayer, Moholy-Nagy esprime
una volontà di servirsi in modo potenziale delle possibilità
tecniche offerte dalla macchina: chiarezza, concisione e precisione.
La fortuna della comunicazione tipografica perciò, dipende
dall’evoluzione dei mezzi tecnici al suo servizio.
Il
procedimento tipografico si fonda sull’efficacia delle relazioni
visive. Dai tempi di Gutenberg la tipografia è stata il collegamento
necessario tra contenuto e destinatario:
Ma
con i manifesti, s’avverte un’evoluzione in cui gli altri
elementi […] incominciano ad avere “una forte efficacia visiva”2:
la fotografia è in aggiunta al testo o senza di esso, un
“«fototesto», precisa forma rappresentativa che, nella sua
obbiettività, non permette alcuna interpretazione individuale.”3
Nel 1925 viene
pubblicato Pittura
fotografia film di
Moholy-Nagy, il testo forma parte della collana dei Bauhausbücher
(uscito come ottavo volume). In breve, il libro dà conto del
rapporto che intercorre tra la pittura ed il binomio fotografia-film.
La posizione dell'autore è a vantaggio della fotografia e del suo
equivalente dinamico, il film. La pittura però non viene marginata,
ha soltanto scopi diversi dalla fotografia. Difatti, il problema che
si pone è quello della creazione visiva e della creazione della
forma; di creazione cromatica e rappresentazione. “Mi sembra
comunque indispensabile contribuire alla costruzione del proprio
tempo con i mezzi a
esso commisurati.”4
L’affermazione di Moholy-Nagy lascia intuire che la
rappresentazione sarà affidata alla fotografia/film. Alla pittura
invece toccherà la creazione cromatica.5
La trasmissione di contenuti avviene attraverso la nuova pubblicità.
Si pensi ai progetti per stand e padiglioni elaborati da Bayer e
ricordati più sopra, in cui introduce l’uso della fotografia,
rendendo l’immagine di maggiore impatto visivo, più chiara e
immediata. Così la realtà è tradotta dall’artista, cercando una
corrispondenza tra creazione e vita mediante l’uso delle nuove
tecnologie:
Il
lavoro creatore dell’artista, le ricerche degli scienziati, il
calcolo del commerciante, del politico di oggi, tutto quanto si muove
e si forma è intrecciato in un insieme di avvenimenti che si
condizionano reciprocamente. Ciò che fa il singolo ha effetto
nell’attualità e, al tempo stesso, nel lungo periodo. Il tecnico
controlla la macchina e soddisfa esigenze immediate, ma in fondo
molto più ampie: è l’iniziatore di una nuova stratificazione
sociale e spiana la via al futuro. Un tale effetto nel lungo periodo
ce l’ha per esempio il lavoro, oggi non considerato abbastanza,
dello stampatore: informazione internazionale con tutto quanto ne
deriva.
Questo
interesse per i fatti del mondo porta allo sviluppo di ciò che
Moholy-Nagy chiama tipofoto. E che cos’è il tipofoto? “Il
tipofoto è comunicazione visuale rappresentata nel modo più
esatto.”7
Fotografia e tipografia insieme costituiscono la forma più efficace
di trasmettere un contenuto, senza temere che il messaggio sia
frainteso. L’evoluzione del film e della fotografia permetterà
un’immagine più compiuta di quanto non possa fare la pittura.
1
Ivi. p. 65.
2
L. Moholy-Nagy, “Tipografia moderna, fini, attività pratica,
critica” in H. M. Wingler, Bauhaus,
ed. Feltrinelli, Milano, 1972; p. 97.
3
L. Moholy-Nagy, Pittura
fotografia film, a
cura di Antonello Negri, ed. Scalpendi, Milano 2008; p. 66.
4
Ivi. p. 35.
5La
vita contemporanea elimina i colori: “la grande diffusione del
procedimento della stampa, la forte domanda di opere stampate[…]
hanno trasformato l'immagine vivace e ricca di contrasti delle
antiche opere a stampa nel grigiore per lo più uniforme dei libri
dei periodi successivi”. L. Moholy-Nagy, “Tipografia moderna,
fini, attività pratica, critica” in H. M. Wingler, Bauhaus,
ed. Feltrinelli, Milano, 1972; p 96. Di qui L’importanza della
gradazione dei grigi nella fotografia;
6L.
Moholy-Nagy, Pittura
fotografia film, a
cura di Antonello Negri, ed. Scalpendi, Milano 2008; p. 64.
7L.
Moholy-Nagy, “Tipografia moderna, fini, attività pratica,
critica” in H. M. Wingler, Bauhaus,
ed. Feltrinelli, Milano, 1972; p. 65.
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