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martes, 30 de julio de 2024

LE TEMPS VAINCU?

 



Com’è il nostro tempo e come lo vogliamo guardare, giudicare e vivere nella sua inevitabilità?

È evidente che è un tempo in cui le guerre – quelle grandi che occupano le pagine dei giornali e quelle più private eppure anch’esse gravi e dolorose – rendono tristemente scheletrico un panorama nel quale miseria e fame abitano gomito a gomito con ricchezze esorbitanti, mentre sole e pioggia continuano a cadere inesorabilmente tanto sui giusti come sugli ingiusti. Tempo di solitudine negativa e priva di soccorso, il nostro è dunque un tempo giunto al fondo di un abisso da cui è impossibile uscire, sebbene non manchino esempi meravigliosi di solidarietà che, per parafrasare Campana, potrebbero accompagnarci a incontrare la “divina semplicità”? Questo mondo, dominato dalla globalizzazione del male, riusciamo talvolta a vederlo “piccolo e leggero”, grazie alle mani e al cuore di chi vive con l’incantevole prospettiva che ci immette nell’eterno?

Di fronte a tanti cuori che vediamo tremare di vertigine, risulta perfetto il giovane dipinto da Courbet, il quale, con chiara evidenza, grida al cielo e agli uomini: “Tutto è perduto!”. E a lui fa eco il sottotitolo del manifesto, che potremmo così tradurre: “So come vanno le cose e non ho più niente da dire: mi hanno rubato tutto, parole, cose, idee, speranze; ho infatti mangiato la messa in scena di questa società dove il cielo è senza terra e la terra è senza cielo e non mi resta che urlare il mio disorientamento. Che cosa farò? Starò a guardare le torri barbare che dominano il mio nulla o scorrerò sopra la vita, dicendo per sempre addio alla gioia? Ci sarà mai una via di uscita a questa condizione?”.
Il ragazzo dipinto da Courbet potrebbe poi anche chiedersi: dove sono finiti gli ideali e i valori del passato? È il nostro un tempo sconfitto perché ogni essere umano ha perso la sua dignità e identità? Era meglio prima e occorre ripristinare il prima? Devo rinunciare ad agire e aspettare tempi migliori, rifugiandomi da qualche parte? Se non ci sono più le ideologie e tutto è relativo, posso forse trovare una via di scampo nell’attuale filosofia woke, che mi dice: “Inventatelo tu il senso, dato che sei un dio che ha tutti i poteri!”? Sono, queste, alcune delle domande già contenute nel titolo stesso del Tonalestate di quest’anno – “le temps vaincu?” – dato che “vaincu” indica una sconfitta che richiama alla memoria ciò che si è perso, ciò che si è visto “rotolare nell’abisso profondo dell’infamia”.

Il manifesto del Tonalestate, però, non vuole lasciarci smarriti di fronte all’intensa concretezza di queste domande, e lo fa grazie alla frase che ha scelto: “Eppure, spingendosi avanti, questo mare sarebbe un’avventura”. Queste parole, finale di una poesia che il professor Riva scrisse quando era poco più di un ragazzo, rompono, infatti, l’angusta prospettiva di vivere, come si ama dire adesso, “disperatamente svegli”. Chi lotta, chi studia, chi fatica, chi è giovane e chi non lo è più, a partire da questa frase, può, infatti, cominciare a chiedersi: il mio agire sta vivendo solo di un “consumato amore”? La mia speranza è solo un “rosso straccio”, cioè una povera cosa che si muove secondo come si muovono i venti? dove e come posso recuperare una speranza viva, limpida, lieta? La mia anima e quella del mio tempo potranno maturare insieme? Con chi camminerò per dire no alle guerre, alle ingiustizie, alle lotte non necessarie e a quelle crudeli violenze che sembro guardare con indifferenza e che invece vivo con sofferta impotenza? Ha ancora senso o, meglio, è ancora possibile il carpe diem di Orazio? E vale quel che diceva Seneca, cioè che “omnia aliena sunt, tempus tantum nostrum est”? Perché, per alcuni, il tempo della vita, di cui Seneca sostiene che siamo unici padroni, risulta così lungo, doloroso, assurdo e pesante da affrettarne la fine? Come può il tempo, da nemico, diventarmi amico? E come dire un positivo “ai giochi, addio”, quel saluto che sicuramente fece, nel segreto del suo cuore, la dolce Giulietta quando incontrò il suo Romeo, dando così il primo passo di un nuovo inizio alla sua storia?

Sarà, dunque, di grande intensità l’incontro al quale ci invita, quest’anno, il Tonalestate e che non si terrà sulle Alpi italiane ma sulle dolci colline emiliane e che, come sempre, sarà un incontro tra studenti, adulti, docenti, artisti e scienziati convocati per una riflessione e un approfondimento frutto del lavoro di studio, di ricerca e di presenza nel nostro tempo, con una ricchezza di esperienze fra loro legate da una diversità che consola e da un’unità che rallegra.

INGLESE

ESPAÑOL

martes, 18 de enero de 2011

tragos odia

La tragedia, in conclusione, più che una rappresentazione diventa uno scritto che, se studiato in ogni sua minima parte porta a una catarsi, a un insegnamento, che è basilare per la vita dell’uomo greco all’interno della polis. A favore di questo lo stesso Aristotele dice: “E’ chiaro che narrare cose veramente accadute non è il compito del poeta, ma piuttosto quella di narrare cose quali potrebbero accadere, e cioè possibili perché verosimili e necessarie. (…) e perciò la poesia è più filosofica e più elevata della storia, perché la poesia esprime piuttosto l’universale, la storia, il particolare. (…) il possibile è qualcosa a cui si crede.”

martes, 11 de enero de 2011

tragos odia

Aristotele non fu sicuramente il primo a parlare della tragedia ma, certamente, fu quello che nell’antichità ne fece uno studio più approfondito. Infatti, partendo dal presupposto che la tragedia, come tutte le forme d’arte, è imitazione, arriva a spiegarne il suo più intimo significato, che è quello della purificazione, della catarsi. La tragedia è un insegnamento per l’uomo, un insegnamento a come dovrebbe essere o comportarsi tramite la visione o semplicemente la lettura. Secondo Aristotele un’altissima tragedia è quella che fa nascere i sentimenti di terrore e di pietà, fondamentali per la catarsi, anche solo leggendola; una buona tragedia deve poi mantenere quei canoni da lui descritti: le famose tre unità, di luogo, di tempo e di azione, segua quindi una coerenza logica, sia suddivisa in prologo, che è, che è una parte completa della tragedia che precede l’ingresso del coro, l’episodio, una parte completa della tragedia fra due canti corali, l’esodo, è una parte completa della tragedia a cui non segue canto del coro. Parte essenziale della tragedia sono poi i protagonisti, i quali, secondo Aristotele, devono essere il più umano possibile anzi, l’autore dovrebbe immedesimarsi prima in essi per studiare meglio tutta la loro psicologia. Uno studio particolare e approfondito va poi dedicato al coro, il più importante personaggio della tragedia, rappresenta infatti il giudizio dei più, che può influenzare o meno lo svolgersi dell’intera tragedia.

martes, 21 de diciembre de 2010

tragos odia

Per quale motivo bisognerebbe dedicare una canzone a un capro, a un tragos? Il significato della parola “tragedia” ancora ci sfugge, possiamo intuire il suo carattere religioso, legato a Dioniso, ma possiamo solo supporre la sua nascita dai ditirambi tragici. Possiamo però capire il perché sia nata: per un bisogno educativo, ma educativo sia per l’intelletto che per lo spirito. Una tragedia non si può definire infatti uno spettacolo, essendo una via di mezzo fra una rappresentazione e una messa, il teatro, libero a tutti, era luogo di paideia e catarsi. Per uno sviluppo educativo che però non portasse turbamento tra il popolo, la tragedia si dovette distaccare dalla storia per rifugiarsi nel mito, che è mediazione tra cielo e terra. Attraverso questa mediazione l’uomo però non può più sentirsi facente parte di una collettività politica, ma piuttosto singolo individuo mortale, concentrandosi su stesso attraverso la catarsi può comprendere la verità in lui nascosta.

Uccellacci e uccellini

  PAJARracos y pajaritos Pier Paolo Pasolini, 1966. Int.: Totó, Ninetto Davoli, Femi Benussi. Italia. VOSE. 100 min. DCP Sinopsis “Escandali...