miércoles, 15 de septiembre de 2010

Il quadrante della pittura europea

“Ricominciò a schizzare su un blocco i quadri che desiderava dipingere. Ma capì che tornare indietro ormai era impossibile. Quando era al liceo, immaginava che tutti i pittori del mondo camminassero sulla stessa grande strada; era una strada maestosa che portava dai pittori gotici ai grandi italiani del Rinascimento, e poi agli olandesi, da loro a Delacroix a Manet, da Manet a Monet, da Bonnard (ah, come amava Bonnard!) a Matisse, da Cézanne a Picasso. I pittori non marciavano su quella strada in fila, come soldati, no, ognuno andava solo, ma ciò nonostante, quel che scopriva uno serviva da ispirazione all’altro, e tutti sapevano di aprirsi un varco in avanti, verso l’ignoto, che era la meta comune e che li univa tutti. E poi improvvisamente la strada era scomparsa. Era come svegliarsi da un bel sogno; per un attimo continuiamo a cercare le immagini sbiadite, prima di capire finalmente che i sogni non si possono richiamare indietro. La strada era scomparsa, eppure era rimasta nell’anima dei pittori sotto forma di inestinguibile «voglia di andare avanti». Ma dov’è l’«avanti» se non c’è più la strada? Da che parte cercare l’«avanti» perduto? E così il desiderio di andare avanti divenne la nevrosi dei pittori; correvano tutti in direzioni diverse e intanto si incrociavano continuamente, come la folla che gira qua e là per la stessa piazza. Volevano distinguersi l’uno dall’altro e ognuno riscopriva una scoperta non ancora riscoperta dagli altri. Per fortuna presto ci furono persone (non pittori, bensì mercanti e organizzatori di mostre, con i loro agenti e consulenti pubblicitari) che impressero l’ordine a quel disordine, e cominciarono a decidere quale scoperta si dovesse scoprire di nuovo e in quale anno. […]
Si disse che forse la sua rinuncia alla pittura aveva un senso più profondo che non la mancanza di talento o di tenacia: sul quadrante della pittura europea era scoccata la mezzanotte.
Trapiantato nell’Ottocento, di che si occuperebbe un alchimista di genio? Che ne sarebbe di Cristoforo Colombo, oggi che le comunicazioni marittime sono servite da un migliaio di società di trasporti? Che avrebbe scritto Shakespeare in un’epoca in cui il teatro non fosse ancora esistito o in cui avesse smesso di esistere?
Non sono domande retoriche. Quando un uomo è dotato per un’attività che ha già suonato la mezzanotte (o che non ha ancora suonato la prima ora), che ne è del suo talento? Si trasforma? Si adatta? Cristoforo Colombo diventerebbe direttore di una compagnia di viaggi? Shakespeare scriverebbe sceneggiature per Hollywood? Picasso disegnerebbe cartoni animati? Oppure tutti questi grandi talenti si tirerebbero in disparte, se ne andrebbero, per così dire, nel convento della storia, pieni di una cosmica delusione per essere nati nel momento sbagliato, fuori dal quadrante del tempo per cui erano stati creati? Abbandonerebbero il loro talento anacronistico come Rimbaud abbandonò a diciannove anni la poesia?”


(Milan Kundera, L’Immortalità)

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